Nel grande giardino che abbraccia la nostra scuola qualche anno fa è stato piantato un alberello: un melo.
Un esile tronco sorreggeva pochi rami sui quali spuntava qua e là qualche debole foglia.
Fu un dono fatto alla scuola affinché potesse allietare le giornate di bambini, ragazzi, insegnanti e genitori che qui vivono la loro quotidiana vita di relazione, studio e lavoro.
Poco dopo esser stato messo a dimora e dopo i primi caldi entusiasmi di tutti, l’alberello fu presto catapultato nel tran tran di tutti i giorni, ovvero dimenticato. Tranne che per i palloni: fatti volare a destra e a manca, malgrado le dovute accortezze, non mancavano ogni tanto di finire addosso al malcapitato.
Qualcuno poi, senza trattenere la tentazione, non disdegnava di staccare qualche fiore, nel momento clou del suo ciclo, in Primavera.
Non avendo parole per dare le dovute spiegazioni o rimproveri con un “Bimbi! Se vi agghindate con i miei teneri fiori, non avrete succosi frutti in futuro!”, l’alberello restava ben presto spoglio e con qualche infiorescenza qua e là.
Passò il tempo, qualcuno all’inizio di settembre notava, senza troppo entusiasmo, qualche piccolo frutto che cadeva miseramente prima della completa maturazione oppure restava lì, aggrappato al ramo, piccolo e indifeso.
Un giorno di quest’anno capitò che sul finire del Carnevale la Scuola non aprisse come era solita fare da tempo immemore.
Che stranezza, pensarono tutti, sarà questione di qualche giorno! Che bello, più vacanza! Pensarono gli studenti.
Non si sapeva ancora che di lì a sette mesi in qua, le porte della Scuola non si sarebbero più riaperte.
Uno strano virus aveva obbligato bambini, giovani, adulti e vecchi a stare confinati nelle loro case a proteggersi, lasciando i luoghi di vita quotidiana, che fino ad allora scorreva senza sosta, vuoti e immoti.
Fu così anche per le scuole di tutto il mondo; fu così per la piccola scuola di Borgnano: silenziose divennero le aule, i corridoi, la sala mensa.
In giardino si poteva udire solo il rumore del vento fra le chiome degli alberi, il cinguettio degli uccelli, la campana che segnava le ore.
Ma il sole iniziava a scaldare, una luce chiara inondava i prati: era la Primavera che lentamente, indisturbata, avanzava.
Tutto “dormiva”, o così sembrava in apparenza.
Era come se un potente incantesimo fosse sceso su tutto. Solo, tranquillo, il melo attendeva.
Fu ai primi di settembre, dopo un’Estate breve e intensa, che ci si accorse di qualcosa di straordinario al primo riaprirsi dei cancelli della Scuola: il melo, seppure ancora giovane, era carico di grossi frutti!
Si giurò di non averne mai visti di così belli e dall’aspetto così invitante.
Tutti si accorsero del piccolo albero dimenticato e delle sue succose mele.
Solo, senza essere disturbato, nell’ampio spazio a sua disposizione, aveva usato bene le sue forze per fare ciò a cui era destinato: fare le mele.
In quello strano, pensoso e provvidenziale momento di quiete.